Mi
era noto che al cospetto di un’opera d’arte gli esseri umani qualche
volta sono vittime della sindrome di Stendhal, che è una sensazione di
malessere diffuso ed improvviso (specialmente vertigini) ma di breve
durata.
Leggendo
“La prigioniera”, quinto libro appartenente: “Alla ricerca del tempo
perduto” scritto dal sublime Proust, sono venuta a conoscenza che lo
scrittore fa addirittura morire un suo personaggio davanti ad un quadro.
L’uomo
a cui accade questo fatto è lo scrittore Bergotte. Erano mesi che non
usciva da casa a causa della sua salute precaria. Un giorno lesse su di
una rivista un articolo scritto da un critico d’arte, che annunciava
l’imminente mostra d’alcuni pittori olandesi.
Con
molta fatica e sofferenza, Bergotte si recò all’esposizione per
rivedere in particolare “La veduta di Delft" (1658) dipinta da Vermeer
(prestata dal Museo dell’Aja). Lo scrittore adorava questo quadro, che
considerava il più bello del mondo e del quale gli sembrava di sapere
tutto. Giunto davanti alla tela, all'improvviso il suo sguardo fu
catturato da un piccolo lembo di muro giallo, dipinto così bene da
apparirgli, come il simbolo stesso della perfezione: quella perfezione
che Bergotte credeva di aver raggiunto dedicando la sua vita alla
scrittura. Il malessere aumentò e prima di crollare rovinosamente a
terra pensò: “ E’ così che avrei dovuto scrivere. I miei ultimi libri
sono toppo secchi, avrei dovuto stendere più strati di colore, rendere
la mia frase preziosa come quel piccolo lembo di muro giallo."
In
realtà Bergotte non è altro che Proust, il quale nel 1921 visitò
realmente quella mostra e davanti a tanta bellezza si sentì male e prese
la decisione di aggiungere colore alla sua scrittura.
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