martedì 27 novembre 2007

A volte basta un soffio

Foto Scattata da MissMelettahttp://www.lestagionidimissmeletta.blogspot.com/
L’uso indiscriminato dei diserbanti e degli antiparassitari, ha avuto sulla natura effetti disastrosi, perché oltre ad eliminare le piante infestanti e gli insetti nocivi, uccide indistintamente anche gli organismi utili.
 Nel 1960 la biologa e zoologa, Rachel Carson, scrisse un libro intitolato ”Primavera silenziosa”, nel quale denunciava che se avessimo continuato ad usare questi agenti chimici, in futuro sarebbero scomparsi gli uccelli e gli insetti impollinatori come: api, farfalle e coleotteri, con il risultato della diminuzione di numerose specie vegetali.
Le previsioni di questa studiosa purtroppo si stanno avverando. Ho letto e constatato che ad esempio, il tarassaco, (detto anche barba di Gesù,) pianta commestibile, con proprietà diuretiche e depurative, sta scomparendo dai nostri prati.
Da bambina ero solita esprimere dei desideri, soffiando sulla bianca bambagia della pianta. Se con un unico soffio riuscivo a far volare tutti gli “acheni” con i loro “pappi”, il mio desiderio si sarebbe sicuramente avverato.
Inconsciamente con questo comportamento per anni, insieme al vento e agli insetti ho aiutato questa pianta a diffondersi.
Oggi ai bambini non si tramandano più questi semplici comportamenti, che oltre ad avvicinarli alla natura, potrebbero contribuire alla diffusione del verde e all’armonia dell’ambiente.
I ragazzi invece di trascorrere le domeniche chiusi nei centri commerciali, dovrebbero essere condotti dai loro genitori nei boschi e sui prati. Potrebbe essere un’occasione per farli sentire parte di quell’armonia  e per capire quanto la generosa natura abbia bisogno del loro amore per continuare a vivere.

giovedì 22 novembre 2007

Momenti di gloria

Tante volte mi sono chiesta cosa abbia spinto una ragazzina a dedicarsi anima e corpo all’atletica leggera.
Sono trascorsi quarant’anni e finalmente, credo di aver trovato una risposta.
Oltre alla passione per questo meraviglioso sport, ho la certezza che sia stato un modo per fuggire ad una condizione di costrizione per lasciarmi alle spalle le soffocanti regole dettate dalla società di allora, che voleva inibire la mia personalità. E’ stato anche un aiuto per prendere le distanze dai legami familiari che desideravano impormi una falsa identità.
Allora andavano di moda le denominate “donne di casa” che si dedicavano solo alla famiglia, non avevano interessi al di fuori di essa, tranne la frequentazione della parrocchia, che spesso le rendeva bigotte e frustrate.
Una voce interna mi sussurrava:
…..“Cerca una maglia rotta nella rete
Che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!”…..
 (Montale)
Grazie allo sport ruppi quella rete e vissi la mia vita liberamente senza timore di comportarmi in modo non “adatto” ad una donna.
Il mio allenatore, la società, i sacrifici e le trasferte anche all’estero, hanno trasformato il mio carattere e il mio pensiero, facendomi ottenere soddisfazioni irripetibili.
 Ogni volta che la vita mi propone qualche difficoltà, mi comporto come nel tratto finale degli 800 metri (la mia gara). Imbocco l’ultima curva, coordino i movimenti, alzo la testa, tiro in fuori il petto e con passo sicuro, concentrandomi al massimo, punto lo sguardo verso il traguardo. Vincere è sicuramente esaltante ma la cosa più importante è imparare a lottare e combattere anche quando in un’altra corsia corre un’atleta più forte di te e la vittoria non è certa. L’importate è migliorare le proprie prestazioni.
La mia vita è trascorsa velocemente come la manciata di secondi necessari per portare a termine le gare.
Ho tanta nostalgia di quei” momenti di gloria” e se non mi osservo nello specchio, mi sento sempre una ragazzina con i capelli al vento, senza trucco e reggiseno, che con la mia canotta color amaranto dell’Amatori Atletica,taglia il traguardo con il cuore in gola.
Ho vinto tanto, non ho conosciuto grandi trionfi ma non sono mai diventata una: "come tu mi vuoi".

martedì 20 novembre 2007

ADDIO DORATA POLENTA

Foto ricavata dal sito http://www.ecoblog.it/tag/mais
In base ai recenti studi dell’O.C.S.E. e della F.A.O. la produzione di biocarburanti, nei prossimi anni farà lievitare i prezzi dei prodotti alimentari: in particolare i cereali costeranno il 50% in più.
L’O.N.U. ha denunciato per tanto che la corsa degli agricoltori, incentivati a cambiare le loro culture per produrre ecobenzina, aumenterà la miseria. Da quando in America è iniziato questo processo, si registra, dati alla mano, una forte impennata dei prezzi agricoli.
Aree sempre più vaste di terreni fertili, saranno destinate alla produzione del mais, ritenuto il miglior cereale per la produzione del biocarburante, sottraendole alla normale produzione alimentare.
Il mais è la parte basilare di tutti i mangimi per animali, per tanto si prevedono aumenti del 30% per il pollo, del 20% per il latte e del 40 % per il burro.
Attualmente negli U.S.A il prezzo del granoturco è raddoppiato. Tutti i produttori di soia, cotone, barbabietola e altri prodotti agricoli, stanno abbandonando queste produzioni per ottenere gli incentivi istituiti dall’amministrazione Bush.. In alcuni stati americani,attualmente oltre la metà della produzione del granoturco è utilizzata per produrre biocarburante.
Lo stesso comportamento è attuato in Brasile, per la canna da zucchero con l’inevitabile raddoppio del prezzo del dolcificante.
Il mercato è il mercato: queste le leggi ferree del capitalismo!
Lester Braun ha affermato in una recente intervista che il mais necessario per ottenere un pieno di bioetanolo per far muovere un Suv, equivale al fabbisogno alimentare di un uomo per un anno.
Un miliardo d’auto presenti sul nostro pianeta, porteranno via il pane dalla bocca a miliardi di persone, che già sopravvivono in stato di denutrizione..
L’industria automobilistica è intoccabile, troppi interessi in gioco e nessuna voglia di rinunciare a qualche privilegio.
Intanto l’imbecillità umana è arrivata all’apice con questo paradosso:
NUTRIAMO LE AUTOMOBILI ED AFFAMIAMO GLI UOMINI

giovedì 15 novembre 2007

John Reed

In una grigia mattina del 1913, John Reed,  un giovane giornalista, si recò a Paterson, per scrivere un pezzo dedicato allo sciopero delle fabbriche in cui si lavorava la seta.
Gli operai erano quasi tutti italiani: donne, uomini e bambini, esausti da mesi di scioperi, per migliorare le loro miserevoli condizioni di vita.
Il cronista (d’origine benestante), si trovava sulla veranda di una casa operaia, all’improvviso sotto i suoi occhi, la polizia manganellò a sangue gli scioperanti e poi li arrestò.
Le forze dell’ordine esortarono Reed a “circolare” ma il giovane non ne volle sapere, così i poliziotti con fare minaccioso, brandirono il manganello e lo arrestarono.
Trascorse quattro giorni in guardina, durante i quali si rese conto come gli operai, nonostante fossero maltrattati dall’arroganza del potere, erano sorretti da un grande entusiasmo.
Al processo, fu condannato a venti giorni di reclusione, che trascorse insieme agli scioperanti.
Reed pose a un militante numerose domande, e l’operaio rivolgendosi ai compagni disse: “Ragazzi, quest’uomo ha affermato che vuol capire, vuol conoscere i fatti. Raccontategli tutto….”
Fu così che John prese coscienza della realtà dei fatti e da allora s’impegnò sempre in prima persona per far trionfare la verità.
Partecipò a guerre e rivoluzioni, a Paterson, a New York, sui fronti europei, in Messico al fianco di Villa e Zapata. In Russia con Lenin e Trotzty. Scrisse pagine memorabili, cariche di passione e di rigore.
Nessun vero comunista non può e non deve dimenticare gli avvenimenti narrati da Reed  nel libro: i dieci giorni che sconvolsero il mondo.
Le enormi menzogne e l’ignobile lavorio del revisionismo storico perpetuato attualmente, non deve assolutamente falsificare la verità sulla rivoluzione  d’ottobre. I giovani devono capire  che i fatti che accaddero dopo la morte di Lenin, non furono comunismo.
Una cosa è certa, in quei giorni nacquero tutti gli ideali di giustizia e libertà, uniche armi a disposizione per contrastare le classi dominanti.             
Leggendo le cronache di Reed ho capito che  quelle idee terrorizzano tutti i parassiti del mondo; per questo continuo ad abbeverarmi a quelle sorgenti, fresche e cristalline, che un giorno scardineranno il capitalismo e i suoi "kaimani.”

sabato 10 novembre 2007

Come è bello andar sulla carrozzella

Mario Tozzi, geologo e ricercatore del CNR di Roma, in questi giorni è promotore del Car-Sharing.
Servizio che permette di utilizzare un’automobile su prenotazione, prelevandola e riportandola in un parcheggio vicino al proprio domicilio. Si paga in ragione dell’utilizzo fatto. “Io guido Car-Charing e ho l’auto che mi serve solo quando mi serve. La soluzione leggera per l’ambiente e per le nostre tasche.”

Sabato scorso, durante una cena tra amici, con tono entusiastico cercavo di spiegare l’utilità della condivisione automobilistica, purtroppo mi hanno immediatamente messo in minoranza. Attraverso il loro comportamento, ho toccato con mano la ritrosia e la poca volontà degli italiani ad impegnarsi per ridurre l’inquinamento. I dati parlano chiaro: le auto sono troppe e intasano le poche strade urbane. I parcheggi sono tutti a pagamento e l’aria che respiriamo è diventata puro veleno.
Per raggiungere alcune località periferiche, il tempo medio di percorrenza è ritornato ad essere quello che impiegavano le carrozze a cavallo.
Tutto questo è un paradosso, ma la maggioranza degli italiani, nonostante l’aumento del greggio (€ 100 al barile) e la prospettiva della fine di questa risorsa,non riesce a far a meno dell’auto e ne acquista( gli spot pubblicitari martellano tutto il giorno) sempre di più potenti (2500cc), e voluminose (Suv).
La civiltà che ha ruotato intorno all’auto, si sta dimostrando un’inciviltà perché noi siamo considerati solo come possibili clienti e consumatori. Per risolvere questa grave situazione è indispensabile mettere l’ambiente al centro del dibattito politico.Siamo ancora in tempo ad invertire la rotta ma occorre che ognuno di noi prenda coscienza e cambi tipo di vita, altrimenti qualsiasi legge sarà vana.

lunedì 5 novembre 2007

"BELIN!"

Il dialetto genovese è caratterizzato da una simpatica cantilena e da una parola con molti sinonimi, che viene usata come esclamazione o intercalare e si lega bene al carattere essenziale dei liguri: scettici, concreti, per nulla portati alla retorica, arguti e scabri.
“Belin è così universalmente noto ed usato, che vale la pena di curiosare sulla sua etimologia.
Pochi sanno, che Beleno è il nome di un paesino alla spalle di Genova, tra Manesseno e Sant’Olcese (si produce un ottimo salame), in cui sorgono i ruderi di un’antica edicola, eretta in onore di San Michele. Nella dedica, cancellata dal tempo, s’intravedono le parole….Deo Apollini Baleno….
Il nome Beleno deriva dal termine Belano, che in celtico significa”Sole Brillante” ed era il Dio dei Liguri, della fecondità e della procreazione.Era raffigurato da una testa di giovane, circondata da capelli raggianti.Questa scultura spesso si trova scolpita nelle chiese romaniche, sorte di solito su vestigia di templi pagani.
Nel paganesimo. il brillante Beleno, non era altro che il luminoso Apollo. Entrambi si trasformeranno nel tempo in San Michele, l’arcangelo della luce.
I druidi, sacerdoti dei celti, resero sacra la quercia per due motivi.
Con i suoi frutti(balanofagi) producevano la farina per preparare il pane e la ghianda, osservata attentamente, ricorda il membro maschile.
Il dio Beleno è ancora presente tra i genovesi e le sue tracce si ritrovano nelle tipiche esclamazioni: belin! belandi, belinata, beliscimo.